L’Africa e il Blues
L’Africa è la madre del suono, della musica.
Il blues è legato alla musica nera afroamericana come la trama a l’ordito.
I neri africani sradicati dalla loro terra vengono deportati in America, vengono privati dei diritti fondamentali e schiavizzati nei lavori sui campi di cotone, proprietà dei bianchi.
In questo contesto compaiono i canti di lavoro che pur derivando da un’usanza tradizionale dell’Africa Occidentale in realtà è la prima espressione musicale del nero afroamericano. Canti di lavoro (work songs) che prendono presto forma di canto religioso assumendo nome in spiritual.
Conseguentemente alla conversione degli schiavi alla religione Cristiana con l’evangelizzazione da parte di missionari europei, questi canti di lavoro (spiritual) prendono il nome di Gospel (vangelo), canzoni spesso corali, cantate prevalentemente nelle chiese.
Il Blues (che significa «triste») si può far risalire al 1912, quando W. C. Handy pubblicò il brano Memphis blues. Questa forma musicale è caratterizzata da una struttura sonora ben determinata: in dodici battute, ma a volte anche otto o sedici.
Il Blues esprime generalmente sentimenti personali di dolore e tristezza, o comunque situazioni di disagio.
Il Blues è detto «la musica del diavolo», le teorie a tal proposito sono diverse.
La religione dei paesi originari degli schiavi neri non era certamente quella cristiana dei bianchi: per questi ultimi, era quindi religione «diabolica», e altrettanto diabolica era la musica di chi la professava (o qualsiasi altra espressione) . Inoltre i testi dei blues erano molto espliciti con usuali riferimenti al sesso, cosa che rendeva questa musica ancor più disdicevole.
Il colpo di grazia giunse poi quando iniziò a circolare la leggenda secondo cui il maggior cantante blues degli anni ’30 (Robert Johnson) aveva dichiarato di aver venduto l’anima al demonio per poter diventare un grande bluesman.
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Ipse Dixit: «La gente continua a domandarmi dove nacque il blues. Tutto quello che posso dire è che, quando io ero ragazzino, nelle campagne, cantavamo sempre. In realtà non cantavamo, gridavamo, però inventavamo le nostre canzoni raccontando le cose che ci stavano succedendo in quel momento. Credo che fu allora che nacque il blues.» (Eddie Son House, bluesman)
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Protagonista simbolo del blues è il musicista Robert Johnson (1911 – 1937), un personaggio da sempre avvolto nel mistero e nella leggenda. Esponente principale del Delta blues sviluppatosi sulla foce del Mississippi, possedeva uno stile unico fondato su un fraseggio energico e quasi percussivo. Tutta la sua produzione comprende appena 29 brani registrati a San Antonio nel 1936 e a Dallas nel 1937: lui preferiva cantare e suonare in giro piuttosto che chiudersi in sala di registrazione. In più, una morte prematura (Johnson, inguaribile donnaiolo, morì a 26 anni forse avvelenato da un marito geloso) gli impedì di cambiare idea. Nonostante questo, sono centinaia i musicisti che hanno dichiarato di essere stati influenzati dal suo genio: Jimi Hendrix affermò di essersi ispirato a Johnson per sviluppare il proprio stile, i Cream ripresero Cross road blues e From four until late, i Rolling Stones Love in vain, i Blues Brothers e molti altri Sweet home Chicago e i Led Zeppelin Traveling Riverside blues. Eric Clapton gli dedicò un intero album di cui scriverò più avanti.
Il blues iniziò ad uscire dalle piantagioni alla fine dell’Ottocento, ma fu negli anni ’20 del Novecento che questa musica conobbe il primo vero sviluppo.
I primi interpreti che iniziarono ad avere una certa fama anche presso i bianchi furono Bessie Smith (1894 – 1937), forse la più grande cantante nera di tutti i tempi, e poi W. C. Handy e Ma Rainey. Fu in questo periodo che vennero incisi i primi dischi; il primo fu Booster blues di Blind Lemon Jefferson nel 1926. All’inizio il bluesman si accompagna solo con una chitarra e con un banjo, spesso alternando il canto con interventi di armonica a bocca; il primo vero maestro di armonica fu John Lee «Sonny Boy» Williamson (1914 – 1948) che rivoluzionò il modo di suonarla, aspirando le note invece di soffiarle.
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Ipse Dixit: «Sembrava che la sua chitarra parlasse, che ripetesse le parole assieme a lui, una cosa che nessun altro al mondo sapeva fare. Questo suono colpiva molto le donne, in un modo che non riuscirò mai a capire. Una volta a saint Louis stavamo suonando ‘Come on in my kitchen’, lui suonava molto lentamente e con passione, e quando finimmo notai che nessuno diceva niente o applaudiva. Poi capii che stavamo piangendo tutti… donne e uomini, tutti.» (Johnny Shines, bluesman amico di Robert Johnson)