Punti di vista

La maggior parte degli alberi sono fotografati nella loro posizione classica, dove per classica è da intendersi nella loro interezza o parte di essa. Ultimamente mi piace vederli e di conseguenza fotografarli con altre angolature. Questi due, per esempio, visti dal basso, danno un senso di maestosità, anche se, in realtà, non lo sono.

Warren Zevon — The Wind (2003)

Questo è il testamento musicale di Warren, morto poco prima della pubblicazione del disco (24 gennaio 1947 – 7 settembre 2003). Colpito da un male incurabile, il musicista californiano ha voluto a tutti i costi questo album, e se pur stanco, affaticato dalla malattia, ha lavorato duramente con profonda dignità fino alla completa registrazione. Attorniato da un numero incredibile di amici e musicisti, ci ha consegnato uno dei dischi più belli ed ispirati della sua trentennale carriera.

A differenza del disco precedente “My Ride’s Here” (la malattia lo aveva già minato), un disco decisamente sottotono, questo lavoro si prende decisamente la rivalsa. Zevon ritrova la vitalità e canta come non gli succedeva da molto tempo. Tutti gli ospiti amici e musicisti come: Dwight Yoakam, Don Henley, Ry Cooder e Bruce Springsteen, solo per citarne alcuni, sono parte integrante delle canzoni senza però precluderne l’opera originale di Zevon.

Le sonorità portanti delle undici canzoni del disco hanno il sapore country e rock and roll. Sono ballate per la maggior parte malinconiche, alcune toccano punti di estrema tristezza, solo pochissime lasciano spazio a un po’ di gioia. Profondo e carico di intensità, The Wind è un grande disco, il progetto di un musicista maturo, conscio dei suoi mezzi, che ha lavorato al meglio per regalare al suo pubblico qualcosa che avrebbe dimenticato difficilmente. Il ricordo poetico/sonoro di un musicista, di un uomo, dall’enorme dignità.

Abitudine

Riflettevo sul concetto di “abitudine” e mi sono incuriosito nel cercarne l’etimologia, che ovviamente, come suggerisce la parola stessa, deriva da “abito”. Ma a sua volta quest’ultimo deriva da “modo di essere, disposizione dell’animo”, un significato molto più profondo di ciò che potrebbe fuorviare, ovvero il vestito esteriore. Così mi è venuto in mente che anche nelle relazioni, quando ci si lamenta del subentro di abitudine, si commette un errore grossolano, perché l’abitudine a comportarsi in un certo modo peculiare al rapporto c’era fin dall’inizio; è piuttosto il rinnegare, il rinunciare all’abito caratterizzante degli inizi a impoverire e sbriciolare il rapporto stesso. La stanchezza, il distacco, le piccole o grandi ostilità, il disinteresse, la perdita di stima e di rispetto, lo spegnersi di passioni ed emozioni, tutto questo è un vero e proprio tradire le abitudini iniziali, quando l’entusiasmo dimorava nella relazione. Credo sia un processo fisiologico, anzi: per coloro che posseggono il dono della resistenza, la capacità di mettersi in discussione e la volontà di tramutare le umane paure del cambiamento in coraggio, questo può essere un salto di qualità che conferirà alla conoscenza nuova linfa, un rinnovato modo di vivere in compartecipazione.

Still life (fotografia)

In fotografia, l’espressione inglese still life indica un particolare genere fotografico utilizzato per descrivere, in modo a caso, la rappresentazione di oggetti inanimati attraverso una specifica tecnica fotografica. (Wikipedia)

Chi ha avuto modo di vedere le mie foto in questo blog, si sarà accorto, grazie alla noia, che fotografo più i particolari che i panorami. E’ nel mio DNA. Non solo in fotografia ma in quasi tutto, vengo più colpito da “un particolare” che alla maggior parte delle persone passa inosservato, piuttosto che da “ampie” visuali. Anche queste due foto sono in questa linea. A molti non dirà nulla ma, se invece anche minimamente “sentirete” una leggerissima emozione, mi sentirei meno solo.

Popular Music (4. Le anime del Soul)

PrefazioneIndice

Le anime del Soul

Furono molti ad abbracciare il soul, diventandone autentiche leggende: pionieri come Sam Cooke (1931 – 1964), e poi Solomon Burke (1940 – 2010), Wilson Pickett (1941 – 2006), Otis Redding (1941 – 1967) o Aretha Franklin (1942 – 2018). Accanto a costoro va citato colui che da sempre è soprannominato «Godfather of soul» (‘padrino del soul’): James Brown (1933 – 2006) figura assolutamente centrale nella vicenda della black music. Fu la sua accentuata caratteristica ritmica ad ispirare il genere musicale che prenderà il nome di funk.

Ipse Dixit: «Il giorno dopo l’omicidio di Martin Luther King, James Brown doveva suonare a Boston, ma quando seppe la notizia cancellò il concerto. La situazione era tesissima e nelle strade erano già scoppiati incidenti e saccheggi. Il sindaco chiamò Brown e gli chiese aiuto invitandolo a suonare dal vivo e a trasmettere il suo concerto in tv. Brown accettò e per miracolo la gente rientrò nelle case, accese la tv e segui, per sei ore consecutive, un concerto di inaudita forza. E quando il concerto fini anche la tensione era sfumata. Il giorno dopo Brown fu chiamato dal sindaco di Washington con lo stesso obbiettivo: ‘Salva la nostra città’ gli disse il sindaco e Brown rispose. Andò nelle strade a parlare con la gente e la sera offrì di nuovo il suo concerto in televisione. ‘Questo è il più grande paese del mondo – disse Brown al pubblico – se lo distruggiamo siamo pazzi. Abbiamo fatto molte cose che è assurdo buttare via. Dovete combattere con dignità’. Il giorno dopo Washington era più tranquilla». (Albet Goldman, ‘Sound bites’)

Negli anni ’60 il soul era ormai, assieme al jazz, la musica dei neri americani. In essa conviveva una doppia anima: da una parte la voglia di ballare e divertirsi, dall’altra la necessità di sottolineare e veicolare con la musica le lotte per i diritti civili della minoranza nera, in un processo identico a quello che, negli stessi anni stava vivendo la giovane musica bianca di ‘protesta’.

A suggellare questo periodo ci fu un film di immenso successo: ‘The Blues Brothers’ che negli anni ’80 avrebbe riportato in auge quel suono e quell’atmosfera. 

Disco: Aa. Vv. – The Blues Brothers O. S. (1980)

La colonna sonora del film-culto di John Landis è una piccola antologia del soul e ha contribuito alla ricoperta di questo genere musicale negli anni ’80. Accanto a brani come Sweet home Chicago, Jailhouse rock o Everybody needs somebody to love interpretati dalla Blues Brother Band (gruppo formato dai protagonisti del film, Belushi e Aykroyd, già prima del film), ne troviamo altri proposti da autentiche stelle della black music che hanno preso parte alla pellicola: il gospel The old landmark da James Brown, Think da Aretha Franklin o Shake your taifeather da Ray Charles.

Negli anni ’70, personaggi come Diana Ross (1944), Smokey Robinson (1940), i Temptations, Marvin Gaye (1939 – 1984) e Stevie Wonder (1950), vissero proprio il loro decennio migliore. Accanto a loro, un gruppo di fratelli destinati ad una carriera strepitosa, i Jackson Five. Tra i cinque fratelli Jackson, il più giovane era Michael (1958 – 2009) avrebbe dato il via ad una carriera da solista durante la quale avrebbe venduto milioni di dischi. 

Disco: Michael Jackson – Thriller (1982)

Prodotto da un genio come Quincy Jones fondendo pop, dance, rock e black music, l’album (che in origine doveva intitolarsi ‘Starlight’) rappresenta il suono nero degli anni ’80. Jackson firma metà dei brani e ci mette una vocalità straripante, il resto lo fanno il suo look inimitabile e i video costruiti sulle canzoni (quello della title track è un cortometraggio capolavoro di John Landis). Sette brani su nove sono divenuti singoli di enorme successo, piccoli gioielli consegnati alla storia: Thriller, Beat it, Billie Jean o The girl is mine.
Fare i conti con i capolavori è poi difficilissimo, dopo ‘Thriller’ Michael Jackson avrebbe sfornato ancora un paio di album abbastanza buoni per poi perdersi dietro i proprio fantasmi personali, questo fu insomma l’inizio della fine, ma nel 1982 nessuno poteva immaginarlo. 

Protagonista di punta della Motown, forse il più celebre e amato ancora oggi, è Steveland Twiki Hardway Judkins, in arte Stevie Wonder. Cantante, pianista, batterista ed eccellente armonicista, a otto anni suonava già diversi strumenti, a dodici era una stella, all’inizio degli anni ’70, poco più che ventenne, aveva già inciso una decina di album.
Nel 1972 ebbe i primi successi mondiali grazie all’album ‘Talking book’ e a brani come ‘Superstition e You are the sunshine of my Life’ in esso contenuti, bissati l’anno dopo da Living for the city e Don’ you worry.
La grandezza di Wonder sta nel fatto di essere stato, innanzi tutto, un innovatore. Riesci infatti, ad introdurre nel soul passaggi melodici e sonorità inedite che avrebbero influenzato tutte le generazioni successive di artisti neri (e non solo). Inoltre, la sua proposta coniugava facilità di ascolto e indubbia genialità compositiva (oltre che esecutiva: come detto, Wonder suona perfettamente una miriade di strumenti).

Disco: Stevie Wonder – Songs in the key of Life (1976)

Un grande pezzo ad album è più o meno nella norma, due o tre sono già un’eccezione, ma questo doppio album è tutto composto da brani incredibili.
Wonder canta, suona le tastiere, la materia e regala brividi all’armonica, arrangia e produce. Miscela con sapienza infinita funk e soul, tentazioni jazz e pop da alta classe, testi di denuncia e dichiarazione d’amore. Non è un caso che molte delle canzoni di questo disco siano spesso ascoltate anche oggi, e altre siano diventate la base di rielaborazioni hip hop o ripescate 40 anni dopo dal nu-soul: segno di una modernità che ha ignorato il passare del tempo e delle mode.

Ascolta dodici brani su radioscalo

Ricordi

Quando i ricordi non riescono più a penetrare sino al cuore, è allora che per me, iniziano a svanire anche dalla mente. Ci sono cose, persone, emozioni e persino accadimenti che quasi magicamente scompaiono dalla mia vita senza che io abbia mosso un solo dito per il raggiungimento dello scopo. Arriva una nebbia inaspettata, che come valanga li travolge e ne divora i contorni. Esattamente come altri, di ricordi, mi restano aggrappati ovunque, sottopelle, tanto da renderli entità prive di tempo e quasi insostenibili per l’intensità emanata.

Bonus facciata

Reduci da informazioni e notizie sul Bonus facciate, anche nel mio rione non sono mancati, con una grandissima differenza, senza il 110%, senza raggiri.

Una coppia di giovani writing, con grande volontà e spirito comunitario, si sono messi alla briga per rifacciare alcune pareti di cabine elettriche e non, sparse per in rione. Mantenendo parte di quelli vecchi, hanno tinteggiato a spray creando l’effetto che si vede. Un modo per trasmettere un messaggio di continuazione tra il passato e il presente.

The Weeping Song – Nick Cave and the Bad Seeds (1990)

The Good Son, l’album che contiene The Weeping Song è sicuramente meno devastante, musicalmente, dei suoi capitoli precedenti. Solare no, diciamo che Cave avanza timido verso l’umanità. Se prima non si curava e sbatteva le porte provocando un fragore assordante, con The Good Song apre le porte con moderazione, equilibrio e sobrietà. Dalla tasca fuoriescono i soliti pennarelli neri per imbrattare pareti di stanze illuminate.
Il ritornello si può cantare in coro, prima di capire che dietro quel canto dolente si nasconde il punto di non ritorno.

Felce

Le felci sono tra le piante più antiche del pianeta, sembra siano piante preistoriche, tra le prime ad adattarsi alla vita della terraferma.
Sono piante prive di fiori e vengono coltivate a scopo ornamentale grazie al loro fogliame sempreverde.
Non è difficile trovarle dentro e ai bordi di un bosco, come questa nella foto, libera abitante nel Bosco di Mestre.

Popular Music (3. Rhythm’n’Blues e Soul)

PrefazioneIndice

Ricapitolando. Nell’Ottocento, dall’unione di spiritual (religiosi), work song (profane) ritmiche e soluzioni musicali africane nasce il blues; poi alla fine del secolo, con l’abolizione della schiavitù, il blues esce dalle piantagioni e unendosi anche a musiche importate dagli europei dà origine al jazz.
Negli anni ’40 del Novecento, il blues si urbanizza e si elettrifica dando origine al Rhythm’n’Blues e negli anni ’50, dal matrimonio tra Rhythm’n’Blues (profano) e gospel (religioso) nasce il soul.
Nello stesso tempo, dal matrimonio tra Rhythm’n’Blues e country nascerà il rock’n’roll.
Negli anni ’70, poi dal soul si distaccherà un’ala più dura: il funk e, alla fine del decennio, dal funk e dal soul prenderà origine la disco music, nelle sue varie sfumature stilistiche.
Negli anni ’80, sempre dal funk deriverà la scena hip hop e rap, successivamente assisteremo a una sorta di revival del soul e del Rhythm’n’Blues sotto la sigla R’n’B.

Rhythm’n’Blues e Soul

L’elettrificazione del blues ha portato, negli anni ’40, alla nascita del Rhythm’n’Blues, termine coniato nel 1947 dal produttore della casa discografica Atlantic Jerry Wexler.
Musica molto più ritmica e aggressiva del blues e che del blues stava gradatamente anche abbandonando la tipica struttura musicale in 12 battute. Veniva eseguita da gruppi musicali anche assai nutriti che facevano pure largo uso di fiati. Insomma: qualcosa di molto distante dalla musica del vecchio blues singer che accompagnava il proprio dolente canto con la sola chitarra e con l’armonica.
La storia del Rhythm’n’Blues sarebbe sfociata molto presto in quella della soul music, letteralmente «musica dell’anima» (un bel salto dalla… «musica del diavolo»!), quando alcuni musicisti, come ad esempio il grande Ray Charles (1930 – 2004), ebbero l’intuizione di fondere l’intensità emotiva e la drammaticità dei canti religiosi (in articolare il gospel) con il trascinante impeto del Rhythm’n’Blues. 

Ipse Dixit: «Per la prima volta non si sapeva con certezza su che sponda ci si trovava. Queste erano canzoni d’amore o religiose? La seconda persona singolare era tu o Tu? Era un’ambivalenza voluta che sarebbe continuata. ‘Si trattò semplicemente di un’evoluzione – afferma Zenas Sears, il più importante dj Rhythm’n’Blues di Atlanta, bianco – ero presente quando Ray Charles registrò il suo primo grande successo ‘misto’, ma non mi pare che questo fu mai considerato una svolta’. Ok, Jerry Wexler lo considerò una svolta, ma tutti gli altri no.» (Peter Guranlick, «Soul music»)

Protagonista di questo periodo fu Ray Charles. Cieco dall’età di sette anni a causa di un glaucoma, Ray Charles seppe coniugare in maniera unica e originalissima sonorità diverse: dal Rhythm’n’Blues al country, dal soul al jazz e al pop.
Aveva 21 anni quando entrò in classifica per la prima volta con Baby, let me hold your hand e quello fu il primo di un’infinita serie di hit come Georgia on my mind, I can’t stop living you, Unchain my heart, Hit the road Jack…
Charles, detto «The Genius», stabilì le regole e i punti di riferimento del soul: libertà interpretativa, improvvisazione e, soprattutto, immenso rispetto per la musica dei padri: il blues e il gospel. 

Disco: Ray Charles – Ray O.S. (2004)

La colonna sonora del film dedicato al grande The Genius è, di fatto, una raccolta certo non esaustiva (quale ‘best’ di una ventina di brani potrebbe mai esserlo?), ma in grado di dare del musicista un’immagine abbastanza vicina alla realtà. Compilata dal regista del film Taylor Hackford, comprende 17 brani soprattutto degli anni ’50 e ’60, alcuni celeberrimi, altri pur interessanti ma meno noti e alcune eccellenti versioni live. Un buon approccio, per quanto limitato, all0univarsi sonoro di questo immenso musicista.

Ascolta dieci brani su radioscalo

Resti

Resteranno le parole
svuotate della bellezza,
del loro peso,
private di ogni drappo.

Eppure, lo stesso,
non so rinunciare
a queste amabili voci,
effimere, sincere, limpide.

Prealpi

Dal nome stesso, le prealpi altro non sono che “l’inizio” delle alpi. La loro caratteristica sta nella minore altezza e nei paesaggi più dolci.
Questa foto è stata scattata nella zona: Vas, Quero, Segusino, in provincia di Belluno.

Robert Johnson

Nasce nel 1911 ad Hazlehurst nel Mississipi.

Personaggio misterioso e musicista inquietante, Robert Johnson può essere considerato l’alchimista del blues. Una breve vita spesa in alcol, donne e imbrogli, quindi una morte violenta avvolta da un fitto alone di mistero. Assassinio o suicidio’ Vendetta o tragica fatalità? Resta il fatto che questo straordinario musicista nel giro di due anni è riuscito a capovolgere tutti i canoni ufficiali del blues: la forma, la struttura, l’equilibrio dell’improvvisazione. La sua stupefacente tecnica chitarristica e le sue ballate sono dei veri modelli in espansione ripresi e amplificati sino ai giorni nostri. Come poteva questo ladro-ubriacone incallito sparire nel nulla per riapparire poi come custode geloso di tutti i segreti meccanismi della “musica del diavolo”? La leggenda narra di un patto di sangue con il maligno, il quale gli donò un prodigioso talento e una conoscenza superiore a tutte le tecniche di mille bluesmen dell’epoca messi insieme.

Occultismo, stregoneria, semplice leggenda, resta il fatto che i suoi dischi (una quarantina di brani) incisi nella sua breve carriera, sono un documento d’importanza storica ed artistica incalcolabile.

Morto nel 1938, aveva appena 27 anni, due fotografie virate seppia e un certificato di morte per un whisky avvelenato.

Wikipedia – Blues and Blues

Quote #14

Serve immensamente la capacità di sognare, di stupirsi e di credere in qualcosa di bello, di elevato e di lieve, nella melma di questo mondo aggressivo che affossa, denigra, distrugge – e fa terra bruciata di tutto ciò che non conosce, e che non può o non vuole comprendere!