Outsider

L’artista, quello vero, non dovrebbe preoccuparsi d’altro che essere se stesso, di cantare e suonare quel che vuole, in barba alle classifiche, alle mode e, estremizzando, persino al pubblico. Negli ultimi anni, di certo negli ultimi venti anni, la parola artista è stata usata spesso a sproposito, nel campo della musica popolare. Tutti quelli che cantano e registrano musica su dischi o mp3 vengono, indistintamente, chiamati artisti, al di la delle motivazioni che li spingono a cantare, suonare o registrare musica.

E’ artista l’intrattenitore, è artista il cantante, è artista il musicista, che invece andrebbero chiamati con i loro nomi, intrattenitori, musicisti e cantanti, professioni meravigliose, stimabili, essenziali per la nostra vita, e che possono consentire a chi le pratica di trasformarsi in artisti. Artista è il conduttore televisivo, artista è la soubrette che balla seminuda, artista è il rapper che maltratta le donne a parole e nei fatti, artista è il rockettaro ultramiliardario che non concede a nessuno i diritti delle sue canzoni, artista è chiunque va in scena.

No, essere artisti vuol dire qualcosa di più e di meglio. Vuole dire fare musica perché non se ne può fare a meno, perché si morirebbe senza. Vuol dire cantare perché la voce esce dal cuore solo in quel modo e non c’è verso di fare altrimenti. Vuol dire scrivere canzoni o brani musicali perché si ha il cuore e la mente piena di musica, che chiede di uscire, di arrivare su uno strumento musicale.

Non vuol dire vendere, scalare classifiche, fare promozione, pensare al business, che invece era il mestiere dei discografici, dei promoter, dei manager, che svolgevano le loro funzioni lasciando agli artisti una sola responsabilità, quella di fare musica. Il che poteva, per esempio, non portare al successo.
La storia della musica è ricca di meravigliosi outsider, che non hanno preso in considerazione mai null’altro che la propria arte.

Classifica musicale 2023

Come mia consuetudine dal 2006, pubblico la mia classifica musicale. Classifica da prendere un po’ con le “pinze” in quanto se la prima decade rispecchia la mia reale preferenza poi man mano che ci si allontana diventa bene o male una estensione più numerica che merito sonoro.

Anno estremamente produttivo (covid docet) questo 2023 ha messo alla prova il mio apparato uditivo come non mai. Grazie al tempo disponibile che per fortuna ora non manca, ho avuto modo di ascoltare quasi 130 dischi e di questi un centinaio con le dovute attenzioni. Questi dischi fanno parte di questa classifica annuale.

Al primo posto non poteva mancare una delle due uscite di Van Morrison targate 2023; “Moving on Skiffle”, un disco che ancora una volta (dopo il doppio disco del 2022) mette in luce la sua grande maestria.
A seguire un disco splendido di una “riunione” quasi improvvisata di Sissoko, Segal, Parisien, Peirani. Quattro musicisti di grande spessore che mettono insieme un universo sonoro che parte da melodie africane per passare in Armenia e scivolare in direzione della Transilvania attraverso la Turchia. Respiri intrecciati di fisarmonica e sax. Una mescolanza di melodie con echi jazz e di blues ancestrale.
L’attesa del disco di Peter Gabriel a distanza di 21anni dal suo ultimo album di inediti era enorme ma, per fortuna, non ha deluso anzi è riuscito a sfornare un quasi capolavoro.
Molto meno conosciuto dei nomi precedenti è Mark Erelli che ci regala un piccolo gioiellino confezionato a doc. Canzoni molto più di “facile ascolto” ma non per questo superficiali. Colpito due anni fa da seri problemi degenerativi alla vista, sembra infatti aver reagito alla malattia sfoderando energia e vivacità.
La cantautrice Jaimee Harris grazie alla sua bella voce e non solo, è una delle realtà più interessanti dell’attuale scena folk, tanto che paragoni come artisti del calibro di Mary Gauthier, Mary Chapin Carpenter o Patty Griffin non sono inutilmente sprecati. Album appassionato ed emozionante.
Molto apprezzato da critica e pubblico il quarto album dei Daughter, il più luminoso della loro carriera, dove i contrasti interiori continui, i pensieri impazziti e divergenti, e le emozioni oscure esternate riescono in ultimo a trovare uno sbocco, fino a intravedere una luce in fondo al tunnel e di conseguenza un po’ di pace e speranza nel futuro.
Amo i The National e mai avrei pensato che dopo alcuni capolavori pubblicati nel passato potessero ancora ripetersi e invece… ma, non bastasse dopo la prima uscita “First Two Pages of Frankenstein” a distanza di pochissimi mesi e a grandissima sorpresa ne pubblicano un secondo “Laugh Track” che è anche leggermente più bello. Grandi.
Le ultime due pubblicazioni di questo proficuo 2023 appartengono a William the Conqueror e Drayton Farley. Altri due buonissimi dischi. Il primo è un trio inglese che ha radici in Scozia, e le ottime sonorità si fanno sentire e il secondo è un disco con sonorità americane dove il country e il folk costruiscono canzoni piene di pathos.

L’intera classifica con tutti i nomi e le recensioni (alcune sono mie) le trovate QUI.

Generazioni

La musica dimostra di non appartenere più alla sua generazione, nessuno può più dire “questa musica è mia!”. Ascoltare certa musica non ci fa più identificare con una età, e nemmeno serve a legare le generazioni. Oramai la musica, quella con la M maiuscola, abbatte le barriere del tempo e viene riletta e aggiornata nei suoi significati dai linguaggi correnti, arricchita, quindi, nel suo valore e apprezzata con forza, pur ignorando, in parte o in toto, le sue pulsioni originarie. A seguito e per la prima volta pubblico questo bel testo di Alfredo “Londra chiama” leggetelo, ne vale la pena.

(…) Quel giorno, vicino a me, era seduto un ragazzo che poteva essere mio figlio, un ventenne all’incirca, forse più giovane ancora. Aveva delle cuffiette e ascoltava musica a un volume spasmodico, al punto che udivo distintamente la sua musica anch’io.
(…) Stava ascoltando London Calling dei Clash il mio album preferito. La grande musica è tale perché non ci stanchiamo mai di ascoltarla, non ha etichetta, è eterna, inossidabile, galleggia (anzi naviga!) sulla miseria dei tempi, vi resiste incondizionatamente.
(…) Potete immaginare che emozione sentirlo riemergere dall’MP3 di un ragazzo che nel 1979 non era ancora nato. In casi come questi pensi che il tempo non si fermi soltanto per la musica, ma si fermi anche per te e ti consenta di fluttuare sugli istanti come sospeso, stabilendo così una sorta di fratellanza universale tra gli uomini, al di là delle singole età anagrafiche.

«London Calling!» dico al ragazzo sorridendo.

«Cosa dice?» urla senza nemmeno togliere le cuffiette. Ovviamente urla, perché è inondato di musica.

«London Calling!» ripeto «È London Calling!». Sorrido ancora.

Si toglie la cuffietta destra, una sola!, mi guarda pateticamente: «Cosa?» ripete ancora, stavolta senza urlare troppo.

«Dicevo: è London Calling!».«Sì!» risponde senza manifestare alcuna inflessione o debolezza emotiva e rimette la cuffietta. Tutto qui. Si limitò a dire “sì”.

Ma io non cercavo una conferma, la mia era una affermazione. Forse non ha capito bene la sfumatura, penso.

«Lo so che è London Calling» dico «volevo dire che lo conosco, che è il mio CD preferito!».

«Ah!» dice lui, ed è come dire: e chi se ne frega.

«Non ti sembra curioso che ascoltiamo la stessa musica a distanza di tanti anni cronologici e anagrafici?» dico con lo spirito di chi si sente di far parte di una comunità di eletti, ossia i patiti di musica pop-rock.

«È come se la musica unisse tempi e mondi diversi no? Oltre ogni classificazione! Un ponte (faccio anche un cenno con la mano)! Non ti pare?» aggiungo.

Passano alcuni secondi prima di una risposta. Poi dice: «A me sembra curioso che uno come lei, alla sua età, ancora ascolti questa musica…».

Alla mia età? E che c’entra la mia età. Come opporre distinzioni anagrafiche alla potenza eterna, dionisiaca della musica? Avrei voluto ribattere che l’età non c’entra, che io quella musica la ascoltavo a vent’anni, che oggi è come ieri, che l’entusiasmo è lo stesso, così la passione (anzi, di più) e chissà cos’altro ancora.

Lui intanto aveva rimesso le cuffiette ed era passato ad ascoltare altro, come se io non esistessi. Mi aveva già cancellato e non so nemmeno se mi avesse mai inscritto davvero nei suoi pensieri. Il volume è altissimo, tendo inevitabilmente l’orecchio e ascolto bene. Voglio esserne certo. Non è possibile, non ci credo, è Laura Pausini! Stava ascoltando Laura Pausini, vi rendete conto? Dopo i Clash, dopo London Calling, dopo London’s Burning, White Riot, Tommy gun, dopo il povero Joe Strummer che non c’è più, e che Dio lo abbia in gloria, dopo i cannoni di Brixton, e tu che non devi farti trovare disarmato quando busseranno alla tua porta, tu che non devi aspettare con le mani in testa ma con il dito sul grilletto (When they kick at your front door/ How you gonna come?/ With your hands on your head/ Or on the trigger of your gun). Dopo la celeberrima manifestazione di questo istinto prepolitico, radicale di ribellione instillato in musica divampante, dopo questo perfetto parricidio sociale e generazionale, lui meschino, lui giovane moderno cosa faceva? Lui ascoltava (Dio lo perdoni) Laura Pausini! E poi ero io quello strano. Niente di personale, si badi, ma il confronto proprio non reggeva. Dipingo sul mio volto lo sdegno e mi volto schifato (non posso fare altro).
(…) Sono pensieroso. Mi illudo sempre che sia possibile gettare ponti tra le persone, le culture e le epoche, e che la musica (la cultura, più in generale) sia uno strumento essenziale per far ciò. E ancora ne sono convinto, ma quel piccolo episodio mi aveva disorientato. Forse era lui, forse ero io, forse erano i fatti in sé. Forse il destino cinico e baro. Forse chissà. Ma stavolta il ponte non si era affatto disteso e, anzi, avevo percepito una sorta di isolamento, anagrafico ma anche culturale. La musica non etichetta, non incasella, anzi sovrasta le individualità; come un fluido universale penetra negli interstizi e risana ogni frattura. Tuttavia, quella volta l’alchimia non aveva funzionato, ed io questa benedetta etichetta me la sentivo appiccicata indosso davvero. Come se mi avessero chiuso in un box, in una specie di recinto anagrafico, non solo culturale, ma peggio: personale. Come se mi avessero messo una targhetta col codice a barre, e mi avessero deposto in un angolo del magazzino. Ci può stare, ci può stare senz’altro mi dicevo, è possibile che questo accada, anzi è un passaggio inevitabile, con il quale fare i conti. Col quale tutti faranno i conti. Sino a che, finalmente, un sottile e disincantato amor fati non mi prese pian piano.

Tornato a casa, ho messo sul piatto Rudie can’t fail. Sul piatto, dico, non nel lettore CD. Il vinile, non il digitale. Forse per marcare una distanza: degli anni, dei miei vent’anni. Nessuna rivalsa, soltanto un po’ di nostalgia, una momentanea debolezza, una piccola consolazione al tempo che fugge via come una lepre marzolina. Tutto qui.

Bruce Springsteen 50 (1973-2023)

L’ultimo libro che mi hanno regalato è stato “L’alba dentro l’imbrunire” un libro illustrato molto completo su Franco Battiato. Questo di Bruce Springsteen invece me lo sono regalato io.

Per certi versi, con le dovute differenze e proporzioni, i due libri si assomigliano molto in quanto, entrambi sono scritti da persone competenti (sono molti i critici, gli amici, gli adetti ai lavori, ecc. che hanno contribuito in entrambi i libri) sono pieni di illustrazioni, aneddoti, storie ecc., che rendono il libro completo in tutti i sensi,

Scritto da Ermanno Labianca, il libro dal titolo eloquente, celebra i 50 anni di carriera del boss, il quale afferma:

Questo libro ha rappresentato per me l’occasione per rileggere molte affermazioni di Bruce Springsteen, ritagliarle e sequenziarle fino a comporre una gigantesca antologia in grado di cristallizzare la filosofia, le ambizioni, la forza, le paure e anche le debolezze di una tra le rock star più celebrate del pianeta. Racconta il giovane Bruce che componeva le sue prime canzoni intrise di amore e di rabbia sociale e l’uomo di oggi, autore ancora ispirato, che si concede alla tanta musica non sua che lo ha formato. Accanto ai pensieri del protagonista, vivono i contributi, le memorie, i ricordi di ospiti preziosi, firme illustri che insieme a me tratteggiano il “loro” Springsteen. Cinquant’anni di carriera e di storia. Un gran bel pezzo di vita. Per Bruce e per noi.

L’ottimo critico musicale Ermanno Labianca scrive un testo davvero notevole che ci consegna il ritratto schietto e profondo di una delle figure più amate nella storia del Rock.
Il libro si presenta come un monumentale affresco di splendide fotografie, citazioni, racconti e memorie – diviso in capitoli per fasi logiche e cronologiche della carriera di Springsteen – che complessivamente raccontano la sua vita e le sue ispirazioni, la sua musica e i suoi concerti, attraverso la voce dello stesso Boss e dei tanti autorevoli testimoni, chiamati a raccolta per tratteggiare lo spirito di questo protagonista indiscusso di mezzo secolo di grande storia della musica.
Il libro è appassionante, scorrevole e agile, grazie – oltre che all’eleganza della narrazione e all’interesse dei contenuti – a un impaginato accattivante e dinamico in cui ogni immagine è perfettamente centrata sulla cronologia del racconto amplificandone l’emozione della lettura.
Ovviamente è un must per tutti i fan del Boss, per chi ne vuole sapere di più e per chi ne sa già, perché su Springsteen… si sa solo che non è mai abbastanza.

The 150 Greatest Albums Made By Women

La buona musica quella lontana dalle mode non ha tempo e di conseguenza non può invecchiare. Ci sono dischi che hanno decenni alle spalle ma che “suonano” come fossero stati registrati l’altro ieri, proprio grazie all’ossatura in puro acciaio che non viene intaccato dalla ruggine.
Questo pensiero mi è venuto perché per puro caso mi è ritornato alla vista un vecchio (?) post targato 2017 di “npr” che stila i 150 migliori album realizzati da donne.

Qui il link dei primi dieci album e alla fine del post tutti i link per i rimanenti 140.

I cinquant’anni di “The Dark Side of the Moon” dei Pink Floyd

The Dark Side of the Moon racconta la grandezza delle retrovie della psiche umana, tanto grande e tanto fragile. Nel 1973 a New York un grande tesoro inestimabile di arte musica e filosofia veniva messo al mondo, e seppur tanto omaggiato, tanto criticato, ha reso giustizia ad una lisergica parentesi della storia della musica. Chissà se a distanza di cinque decenni ne sia stato colto il totale significato, la totale sfumatura cupa e il lato nascosto, quello che non si vede. Il lato oscuro, buio e cupo è di sicuro quanto di più straordinario non sia mai stato percepito, e quanto di grande sia nascosto da quella luna pallida che ogni volta, ad ogni ascolto sembra parlarci. Se non tra i più belli, The Dark Side of the Moon oltre che essere l’outsider di un’intera discografia musicale, è di certo il disco dei record e dei numeri con tante cifre dall’irripetibile eccellenza.

Il dualismo di un disco come questo viene fuori raramente se non ci sono mani sapienti a plasmare con tanta arte e tanta dedizione le sette note in un così vasto repertorio di strumenti e suoni. Le idee sono figlie dei tempi ma sono rese grandi solo da chi ha la capacità di renderle tali e rimangono nel tempo immutate solo se concepite in miniera spirituale. Le delicate urla, le voci e i discorsi scanditi dalle tastiere e dai bassi sono il picco massimo di un disco come questo. Non abbiate paura di scoprire cosa c’è dietro quella palla luminosa o dentro il vostro inconscio, perché in quel momento avrete forse scoperto qualcosa di grande, avrete scoperto l’essenza non percepibile e non tangibile. The Dark Side of the Moon è l’onirico racconto di una tragica storia che non ha necessariamente un epilogo, ma che racconta il lento declino dell’umanità ancora tanto immatura da scoprire il lato oscuro della luna.

Archive.org ha realizzato una raccolta di 36.000 vinili ascoltabili liberamente

Fondata nel 1996, Archive.org sta diventando sempre di più un tassello fondamentale per la storia di internet. Si tratta di un’associazione non profit della Internet Archive che ha come scopo creare una memoria di internet. Visto che i siti si evolvono nel tempo, Archive.org conserva delle foto di questi siti.

Inoltre questa biblioteca digitale si occupa di molti progetti, come l’emulazione di vecchi software ormai superati e, di recente, anche dei vinili. Il Great 78 Project ha come obiettivo evitare che i dischi in vinile si perdano nella storia.

Per questo motivo l’associazione vuole raccogliere la maggior parte dei 78 giri, prodotti tra il 1898 e il 1950, per evitare che vengano persi. In totale si stima siano stati creati 3 milioni di brani.

Nel sito preposto ci sono oltre 36.000 vinili da ascoltare liberamente. Ogni disco contiene i brani associati. Si può notare il famoso rumore gracchiante della puntina di sottofondo.

Link: 78 RPMs and Cylinder Recordings – Archive.org

L’alba dentro l’imbrunire

Mi hanno regalato “L’alba dentro l’imbrunire” un bellissimo libro, con molte illustrazioni, su Franco Battiato. Ci sono una sessantina di contributi scritti dei più importanti critici musicali italiani e non solo, oltre alla quindicina di fotografi che hanno contribuito con immagini per lo più inedite.
Inutile aggiungere che è un libro obbligatorio per un fan di Battiato.

Inutile negarlo, quando Franco Battiato è morto si è chiuso un grande capitolo di cantautorato italiano, una grande stagione eclettica e intelligente.
I sopravvissuti non affollano più una scena creativa. Chi se ne è andato per una strada lastricata di solitudine, chi continua la vita dura del cantautore, chi ha aperto un ristorante e aspetta gli amici a sera tardi per fare una suonata insieme.

Franco Battiato è stato uno dei pochi che ha sparso manciate di note su una pagina di cultura musicale assolutamente indimenticabile. Una voce unica che ha sempre soffiato leggera senza irrigidirsi in uno stile. Una voce che ha evocato con dolcezza il dolore dell’anima senza sciuparsi di sentimentalismi.

Il leone ruggisce ancora

Riflessione sull’ultima produzione di Van Morrison

Dopo diversi anni e molte uscite discografiche, non tanto entusiasmanti, “The Man” torna a ruggire. Latest Record Project Volume I è il suo più bel disco dell’ultimo ventennio. Non certo un capolavoro ma sicuramente un album che non annoia anzi, lo ascolto in loop e non mi stanca per nulla. Sorvolo su alcuni testi che non mi trovano d’accordo per niente ma il suono è sempre quello di un grande e se a trequarti di secolo incidi ancora un album doppio con 28 canzoni (e un altro che arriverà) per ben due ore di musica, vuol dire che talento, ingegno e ispirazione non ti fanno difetto.

E proprio su questi ultimi aggettivi, per niente esagerati, mi sorgono spontanee alcune domande: Cosa succederà quando non ci sarà più questa generazione di musicisti? Penso a Bob Dylan, Neil Young, Bruce Springsteen… Cosa gli spinge a continuare a scrivere e pubblicare, a mettere la musica al centro della propria vita? Potrebbero godersi le giornate senza troppe preoccupazioni… Eppure non mollano, perché? Dove trovano tutta questa energia e ispirazione?
Le risposte possono essere diverse ma non è questo il post per approfondirle.

Per il momento mi godo queste 28 canzoni che compongono “Latest Record Project Vol. 1”, dove non c’è un cedimento, una flessione, dove energia e determinazione si aggiungono a sensibilità e acume.
In un’epoca in cui quasi tutta la musica potrebbe essere schedata come “Musica da ascensore“, queste canzoni rivendicano una dignità e un diritto di ascolto. 
Per il momento mi godo questa loro eterna giovinezza, non pensando al futuro e concentrandomi sul presente che non è invitante, ma è quello che ci è dato vivere. E con questa colonna sonora, vi assicuro che non è soltanto piacevole, ma addirittura sorprendentemente piacevole.

Ben ritrovato quindi “The Man” della tua creatività ne abbiamo bisogno visto il “quasi vuoto” (il “quasi” è obbligatorio) musicale che regna sovrano.