Roky Erickson with Okkervil River — True Love Cast All Evil (2010)

Prosegue bene quest’annata musicale con Roky Erickson che insieme alla band texana degli Okkervil River pubblica “True Love Cast Out All Evil” disco che arriva dopo quindici anni da “All That May Do My Rhyme”.

Per la comprensione dell’uomo e del disco è utile tenere presente che la vita di Erickson è stata particolarmente segnata da una serie di vicissitudini. La lista è lunga, Roky, infatti, ha avuto problemi con la giustizia e la droga nei tempi passati e con la schizofrenia in tempi recenti. Ora completamente ristabilito e grazie a certi contatti: Will Sheff e Andrew Savage, manager degli Okkervil River, è ritornato in auge con questo nuovo album.

Il disco è un’autobiografia in musica. Il male, la tristezza, la morte ma anche l’amore, la speranza la spiritualità sono i temi di cui parlano i testi delle sue canzoni. Dodici brani estremamente coraggiosi dove il nostro sessantatreenne cantautore mette a nudo tutta la sua vita. La sua voce intensa è profonda crea un’emozione senza pari. Il primo e l’ultimo brano del disco e non a caso, sono stati registrati durante la sua reclusione in manicomio. Nel mezzo le altre dieci canzoni, non tutte sono inedite ma sono state composte nella sua lunga carriera. Le sonorità, principalmente country e folk, sono armoniosamente costruite dagli Okkervil River i quali danno un tocco avvolgente ed incisivo.

E’ palpabile l’ottimismo che affiora in questo disco, un sentimento che ha sempre sostenuto Erickson durante la sua non certamente facile vita, fatta di orrore, incubi ed elettroshock. Lo si sente nelle ballate intense e cariche di sentimento.

Peter Wolf — Midnight Souvenirs (2010)

Bello il titolo e ancor più bello il disco di Peter Wolf “Midnight Souvenirs“.

Non si può certamente dire che il nostro sessantaquattrenne cantautore non abbia rispettato il motto di “pochi ma buoni” perché infatti nei venticinque anni di carriera musicale la sua produzione discografica non ha riempito i scaffali dei negozi di dischi e neanche le tasche della sue case discografiche. Ha inciso infatti solo sette album, l’ultimo “Sleepless” risale a otto anni fa ed è considerato tra i primi 500 album di tutti i tempi per la rivista Rolling Stones.

Il comun denominatore delle quattordici canzoni che compongono l’album è la semplicità. I brani in effetti non sono particolarmente elaborati o tecnicamente innovativi anzi, per la loro struttura a volte sembrano un po’ “easy” come dire “di facile ascolto”. Ed è proprio questo che aumenta il valore artistico dell’album: creare facili canzoni senza per questo scadere nelle canzonette commerciali e superficiali. La mancanza di “appariscenza” ha frenato parecchio la scalata dei suoi dischi nelle classifiche di vendita anche se Wolf, pur consapevole, non me è mai stato interessato.

Wolf è un tradizionalista, un rock roll vecchio romantico, appartiene alla classe dei suoi coetanei Dylan e Springsteen e se il confronto sembra azzardato, visto che la maggior parte delle persone nemmeno lo conoscono, non lo è certo per i cultori della buona musica. Molto probabilmente la sua poco popolarità è sempre stata dovuta ad un eccesso di onestà e di integrità, fattori che poco vanno d’accordo col show business.

Le canzoni di “Midnight Souvenirs“, scivolano via una ad una nel cd player, senza noia, ognuna con una propria “vita”, con una propria storia e una propria struttura. I brani sono variopinti e passano per atmosfere emozionali senza fronzoli, toccando stili musicali diversi. La maturità e l’esperienza di Wolf è palpabile e la si sente nella voce, nei testi e nelle sonorità. Probabilmente nemmeno questo disco scalerà le classifiche dei dischi più venduti, di sicuro però, suonerà parecchio nelle nostre playlist.

Ry Cooder — The Prodigal Son (2018)

Dopo le sue due ultime produzioni del 2011 e 2012, non troppo entusiasmanti, Ry Cooder ritorna nella scena musicale con “The Prodigal Son” e questa volta convince.
A differenza dei sopra citati, marcatamente fusi con suoni folk, blues e roots, questo “Prodigal Son” lo riporta all’inizio della sua carriera quando registrava vecchi brani blues, gospel, folk e swing.
Co-prodotto con il figlio Joachim — che contribuisce anche alla batteria e alle percussioni — Cooder prende il controllo; suona chitarre, basso, banjo, mandolino e tastiere in un programma di otto cover e tre brani originali raffinati.
Prodigal Son è un disco fortemente legato alla musica religiosa, suonato e registrato da un non religioso. Cooder le considera canzoni gospel, proprio per il loro potere di trasmettere un messaggio diretto a chi le ascolta. La cosa più importante del gospel è di dare forza alla gente, di fare da collante tra ascoltatore ed esecutore.
Il disco si apre con una versione intima del brano gospel del 1950 di Pilgrim Travellers “Straight Street”. Con banjo e mandolino sostenuti dai suoi riempimenti di chitarra elettrica e il rullante di Joachim. Cooder non ha bisogno di testimoniare vocalmente, sono i testi e la sua chitarra a farlo. “Shrinking Man” è un brano originale pieno di metafora commovente, blues, country e “stomp”, consegnato in stile elettrico. L’originale “Gentrification” offre un suono “mordace” adornato con strati di chitarre acustiche ed elettriche suonate in stile hippy nigeriano con kalimba, campane e fischietti; i suoi testi umoristici sono pieni di verità. Le letture di Cooder di Blind Willie Johnson “Everybody ought to treat a stranger right” e “Nobody’s fault but mine” risuonano di convinzione e determinazione grintosa. L’inno di Alfred Reed “You Must Unload” include il defunto Robert Francis Commagere al basso e Aubrey Haynie al violino. La title track “Prodigal Son” è un brano tradizionale. Cooder lo “sporca” con un suono elettrico e country — completando l’omaggio alla leggenda del country Ralph Mooney che suona la chitarra elettrica. Il Banjo, mandolino e rullanti creano la cornice ideale per lo stridente “I’ll Be Rested When the Roll Is Called” di Blind Roosevelt Graves, mentre “Harbour of Love” di Carter Stanley è stato ricontestualizzato come una melodia delicatamente soul, pittorica, country-gospel. “Jesus and Woody” di Cooder è una tenera allegoria cantata dal punto di vista di un ex che chiede al leggendario cantante di sedersi e giocare per lui mentre riflette sul peccato, sul fascismo e sul sogno di un mondo migliore. Per finire il disco, Cooder ha un altro brano da consegnare nel tradizionale stomper ed è in “In His Care”, che ritmi incrociati e un pungente gospel incontrano le radici ribelli del rock and roll.
Gli undici brani che riempiono questo ultimo lavoro di Cooder ancora una volta riflettevano un passato musicale come illumina il presente storico. La sua dipendenza dal vangelo qui riflette il suo impegno per l’uguaglianza. “Prodigal Son” è ancora un altro atto intenzionale da parte di uno dei più grandi guardiani e fornitori della musica americana. Nella sua venatura, il piacere estetico e la volontà di giustizia dialogano e alla fine convincono il resto di noi ad agire.

Sidi Touré – Toubalbero (2018)

La musica è una delle principali risorse culturali del Mali. Risalendo a imperi tanto antichi come quello Mandingo, esiste una tradizione ricchissima di canti di lode. Queste canzoni di lode malinké o mandinghe sono dominio esclusivo dei griot (chiamati djeliw), musicisti ereditari, che sono allo stesso tempo genealologi e storici. Questa musica dei griot è sempre viva e cantata.
Ma la musica maliana è molto più variegata e nuovi stili sono apparsi. Per esempio, c’è la musica bambara che è più ritmica, il mali blues di Kar Kar, il blues songhai di Ali Farka Touré, Afel Bocoum e Sidi Touré, appunto.
Toubalbero, quarto album dell’artista blues malese, si allontana dal tono oscuro e introspettivo di “Alafia” del 2013, producendo un set elettrico, allegro e vivace.
La politica del Mali, la guerra civile che ha coinvolto la nazione africana durante le sessioni per l’album precedente non è più tangibilmente presente in questo lavoro, grazie a un accordo di pace firmato nel 2015, questo cambiamento può essere ascoltato nel vigore e nella vitalità di queste registrazioni.
Chiamato con il nome di un grande tamburo tradizionale usato per chiamare le persone nella sua regione natale di Gao, Toubalbero riunisce un gruppo di musicisti dinamico e decisamente più giovane per sostenere il veterano cantante/chitarrista, prestando uno scoppiettio di energia e festività alle sessioni.
Impiegando per la prima volta cumuli di suoni elettrici e amplificati, questo è il primo album veramente orientato alla musica di Touré dove si sente la band espandersi in groove complessi e pesanti su tracce infuocate come “Tchirey”, “Handaraïzo” e la dura “Kaoula”.
Registrate dal vivo su nastro nel corso di quattro giorni presso lo Studio Bogolan di Bamako e poi mixate dal vivo in uno studio di New York, le canzoni hanno un flusso vivace e una trama leggermente “overdrive”. La sezione ritmica Baba Traoré (basso) e Mamadou “Mandou” Kone (batteria) danno propulsione delle sessioni con muscoli e finezza. A completare la band è il vocalist Babou Diallo, che può essere ascoltato all’unisono, con grande armonia.
Tra i musicisti Songhaï, Sidi è il migliore, si mormora nell’area musicale africana.
Touré intreccia canzoni meravigliosamente strutturate, ognuna delle quali cattura un’istantanea di un singolo stile musicale Songhaï, dalle danze di takamba alle holley suonate in rituali di possessione al gao-gao giocato in momenti gioiosi come i matrimoni.