6Th Avenue Heartache – The Wallflowers (1996)

I Wallflowers sono la creatura di Jakob Dylan figlio di Robert Zimmerman e di Sara Lownds. Anche lui cantante, Jakob scrisse questo brano nel 1988 quando aveva solo 18 anni. Viveva a New York City, vicino alla Sixth Avenue, dopo aver abbandonato la Parsons School of Design, dove studiava pittura, dopo sole due settimane. Nonostante fosse il figlio di Bob Dylan, era solo, viveva da solo e trascorreva molto tempo vagando per la città e riflettendo sulla sua vita. Il testo riflette le immagini della città e la sua ricerca per trovare la sua strada. Fu allora che decise di fare della musica la sua vita, o almeno di provarci. Compito riuscito o almeno in parte perché essere figlio del Vate, scrivere canzoni e fare musica, è compito improbo come scalare l’Everest con le infradito.
6Th Avenue Heartache resta comunque un bel brano, molto godibile, probabilmente uno dei loro migliori.

Angie – The Rolling Stones (1973)

Angie è sicuramente una delle canzoni più popolari dei Rolling Stones. Fu pubblicata come singolo nel 1973 e successivamente inclusa nel loro album “Goats Head Soup”. Angie racconta la fine di una storia (ma non di un amore), quello tra Mick Jagger e Marianne Faithfull, la donna che ha attraversato tutti gli inferni e ne è uscita viva, malconcia, ma viva. La canzone ha un tono malinconico e introspettivo, con Jagger che esprime sentimenti di rimpianto e desiderio. Angie divenne un grande successo per i Rolling Stones, raggiungendo la vetta delle classifiche in diversi paesi. La popolarità della canzone è durata nel corso degli anni e continua a essere un punto fermo delle stazioni radio e delle playlist di rock classico. Angie mette in mostra la capacità dei Rolling Stones di creare ballate cariche di emozione pur mantenendo il loro caratteristico suono rock.

Victor Jara’s Hands – Calexico (2008)

Una delle qualità che preferisco in una canzone è la capacità di evocare senza sforzo una scena nella testa dell’ascoltatore. Il brano inizia con un lento sviluppo di maracas e chitarra e crea uno sfondo ispanico che pian piano si estende oltre il semplice ritornello “Ole ole ole ole” con sezioni di fiati brillanti a guidare bene la canzone.
In questo brano si evocano le mani di Victor Jara, esponente della Nuova Canciòn Chilena, militante del Partido Comunista de Chile (lo stesso di Pablo Neruda) e sostenitore di Salvador Allende, ucciso dagli uomini del generale Pinochet dopo terribili torture.

There is Light That Never Goes Out – The Smiths (1986)

Gli Smiths è stato un gruppo di culto nella seconda metà degli anni ottanta. Hanno saputo creare uno stile, un sentiero che negava la strada maestra, fin dalla scelta del nome (il cognome più comune tra gli inglesi, come se una nostra band decidesse di chiamarsi “I Rossi”). Copertine pallide e virate seppia, che spesso riprendevano fotogrammi di vecchi e dimenticati film; sonorità oniriche e vellutate, piacevolmente narcotizzanti, quasi oppiacee; citazioni letterarie a pioggia battente e fiori gettati al pubblico durante i concerti.

There is Light That Never Goes Out è forse la più romantica e disarmante canzone degli Smiths. Rubacchia una sequenza armonica dalla versione dei Rolling Stones di un brano di Marvin Gaye, Hitch Hike, ma è un furto dichiarato.

Heart of Gold – Neil Young (1972)

Una delle peculiarità di Neil Young oltre aver scritto canzoni immortali, patrimonio sonoro di intere generazioni è stato il movimento; infatti la sua vita è sempre stata un continuo girovagare perché fermarsi avrebbe significato perdersi, straniarsi, in una sola parola: invecchiare. Per questo è sempre stato “sulla strada”, in direzione avanti, senza nostalgie o ricerche di un tempo perduto. Sempre senza curarsi della moda, perché il percorso di Young è costruito sulla roccia della coerenza e della qualità, non sulla sabbia del trend. E’ questo uno dei suoi segreti che, alla bella età di settantotto anni è ancora illuminato dalle luci della ribalta.

Kingdoms of rain – Mark Lanegan (1994)

La spettacolare voce degli Screaming Trees si alza, affascinante e misteriosa, al di là del fiume e tra gli alberi, evocando inquietudini alla Cave, minimalismi di desolazioni alla Cohen, disgressioni metropolitane. Nelle canzoni di Lanegan ci sono echi di colore e abissi in bianco e nero, c’è lo splendore della nuda canzone, paesaggi al finestrino e istantanee di un panorama privato. Le sue storie raccontano di voli brevi e cadute lunghe, anime sempre fuori mano ma mai fuori fuoco, fuochi d’autunno e aria di neve. Un crepuscolare che inchioda.

Heroin – The Velvet Underground (1967)

Questo è uno di quei brani dove c’è molto poco da dire. E’ impossibile non rimanere folgorati dal suono, delicato, ma primitivo, dalla tensione che si alza e abbassa in continuazione. E’ un brano scioccante, di quelli che non lasciano indifferenti. Voglio dire, non esistevano molte canzoni degli anni sessanta che non avevi il coraggio di far ascoltare a tua madre. Heroin è una di queste. I Velvet Underground erano geni assoluti.

Basterebbero queste parole di Nick Cave a fotografare Heroin. Aggiungiamo quelle di Lou Reed, che scrisse Heroin nel 1964, come provocazione e ribellione alla casa discografica per la quale lavorava come songwriter che gli aveva chiesto di scrivere dieci brani in stile: “Considero Heroin e le canzoni del primo album come una sorta di esorcismo”.

Lay Lady Lay – Bob Dylan (1969)

Nessuno voleva saperne di questo brano e nemmeno Dylan per primo non era entusiasta del risultato. Dylan la scrisse per la colonna sonora di “Un uomo da marciapiede” film di John Schlesinger, ma il regista preferì Everbody’s Talking di Fred Neil (un’altra versione sostiene che la consegnò in ritardo e Schlesinger, fu costretto a rivolgersi altrove).
Fatto sta che Lay Lady Lay arrivò al settimo posto delle classifiche americane e al quinto di quelle inglesi, un risultato eccezionale che a distanza di oltre cinquant’anni rimane una pietra miliare dell’enorme archivio sonoro Dylaniano.

Kentucky Avenue – Tom Waits (1978)

Kentucky Avenue tratta dall’album Blue Valentine è una canzone carica di ricordi, Kentucky Avenue è un album intero di ricordi. Ballata toccante e nostalgica, prende il nome dal quartiere dove Waits è cresciuto. Waits dipinge un’immagine vivida delle persone e dell’atmosfera del luogo, aggiungendo grande emozione grazie alla sua caratteristica voce roca.
Il brano ricorda dei suoi amici d’infanzia e delle avventure che hanno vissuto insieme. Parla di temi dell’innocenza, dell’amicizia e del passare del tempo.
Kentucky Avenue è considerata una delle canzoni classiche di Tom Waits ed è stata interpretata da vari artisti nel corso degli anni. Mette in mostra la sua miscela unica di influenze blues, jazz e folk, combinate con il suo personale, unico stile distintivo di scrittura di canzoni.

Purple Rain – Prince (1984)

Prince, il geniale folletto di Minneapolis, ha seguito il percorso del poeta portoghese (Pessoa), facendo dell’inquietudine la sua spinta, tra cadute e resurrezioni, provocazioni e follie, ha cambiato per sempre il destino della musica nera.

Testimone, e non solo di Geova, nell’ambiguità sessuale, in realtà mostra il suo profondo rispetto per il ruolo della donna, immaginando come sarebbe la vita di coppia se nel ruolo della ragazza ci fosse lui.

Il segreto del successo di questo brano è abbastanza semplice: si tratta di una canzone irresistibile, estremamente easy all’ascolto eppure capace nel tempo di rivelare dettagli nuovi, rimandi inusuali, spunti originali, ritornelli immortali.