Popular Music (5. Il Funk e il Rap)

Prefazione Indice

Il Funk e il Rap

Funk
Le caratteristiche del funk sono ben definite: linea di basso ossessiva, ritmo martellante, chitarra secca e graffiante. Si possono individuare in brani di James Brown come Papa’s got a brand new bau (1965) o come la celeberrima Get up sex machine (1970).

Ma la musica funk non era solo trascinante e ‘fisica’, i testi spesso erano estremamente politicizzati come per esempio: Heron (1949) e molti altri brani dello stesso James Brown.
Il funk era la musica della popolazione di colore orgogliosa della propria identità, pronta a combattere peer difenderla. Era la voce del ‘potere nero’. Ma anche nel funk, dal punto di vista musicale, vanno fatte delle distinzioni. Una cosa era la proposta accattivante degli Earth, Wind & Fire (non a caso protagonisti poi della disco music), altra quella fortemente influenzata dal rock psichedelico di George Clinton o di Sly & the Family Stone.

Disco: Sky & the Family Stone – There’s a riot goin’ on (1971)

Magari ancora loro non lo sanno, ma quello che Sly Stone e famiglia mandano nei negozi è un lavoro che avrebbe fornito un sacco di idee a tutti immusonisti del periodo (e dopo). Opaco e asfissiante nel suono quanto i loro dischi precedenti erano solari, avveniristico negli arrangiamenti (c’è perfino una drum machine in Family affair, quasi otto minuti a testa per Thank you for talkin’ to me Africa e Africa talks to Thank you), adrenalinico nelle ritmiche, chiude definitivamente con gli anni ’60 e i suoi sogni. Il brusco risveglio degli anni ’70 era alle porte e questo disco ce lo mostra già confondendo le frustrazioni di una generazione con quelle di un musicista ormai schiavo di eccessi di ogni tipo e in vista della propria fine artistica.

Va detto tra l’altro che la lezione del funk finì per influenzare anche il jazz: dischi come ‘Head hunters’ (1973) di Herbie Hancock o ‘On the corner’ (1972) di Miles Davis portano più meno dichiaratamente quell’impronta sonora.
Anche Jimi Hendrix, Prince e i bianchi Red Hot Chili Pepper, hanno riconosciuto un’influenza decisiva, come figlia del funk.
La vicenda del funk si sarebbe andata spegnendo lentamente con il finire degli anni ’70: come gli artisti raggiungevano uno status (anche economico) agiato, la loro musica perdeva di mordente e scadeva in una dance elettrizzante, ma priva di reali contenuti.

Rap
Contrariamente a quasi tutti i generi musicali, si può dire che il rap (letteralmente ‘chiaccherata’) ha un padre, una madre e perfino un certificato di nascita.
Il ‘certificato’ è rappresentato dal primo singolo rap della storia, Rapper’s delight della Sugarhill Gang (1979): la sua base sonora era fornita da Good times degli Chic, e su di essa ‘recitava’ il testo la voce di Henry ‘Big Bank Hank’ Jackson. Lui era stato scelto da Sylvia Robinson (ecco la ‘mamma’ del rap), cantante soul e proprietaria del negozio Sugai Hill Records.
Il rap era uno degli elementi della cultura hip hop, assieme alla breakdance e all’arte dei graffiti.
E’ il padre? Il padre si chiama Kool Herk (1955) un dj. E’ stato lui a portare in città questo nuovo stile che esisteva già dagli anni ‘60 in Giamaica.

Ipse Dixit: «Kool Herk comprava dischi per utilizzare solo delle frasi o dei suoni, mai il prodotto intero. Un riff di chitarra o un giro di basso non dovevano durare più di 15 secondi. Metteva su lo stesso frammento musicale moltissime volte tagliando le altre parti del brano quando inseriva la sua voce. Poco dopo altri iniziarono a copiare lo stile di Herk aggiungendo ritocchi personali. Ad esempio, uno che si chiamava Theodor inventò la tecnica dello scratching che consisteva nel mandare avanti e indietro velocemente il disco con le dita.» (Dick Ebdige, ‘Cut’n’mix’)

Disco: Rui DMC – Raising hell (1986)
Questo terzo lavoro dei Rui DMC fu il primo a sdoganare l’hip hop presso le grandi masse e la crew fu la prima ad avere un disco di platino, la prima ad avere la copertina della prestigiosa rivista musicale Rolling Stone, la prima ad essere trasmessa da MTV. Tutto merito di quest’album dove, per primi, i tre decidono di sostituire le usuali basi di balck music con un rock più accessibile al pubblico di bianchi e i testi sono cruda cronaca della sopravvivenza nel ghetto, pur tuttavia rinunciando alle sovrastrutture politico-ideologiche tipiche, ad esempio, dello stile dei Pubblici Enemy.

Ipse Dixit: «Il rap è la CNN dei neri americani. Il nostro dovere è informare su quello che realmente succede. Le parole sono l’unico mezzo che abbiamo per fare arrivare al mondo la nostra voce. I vecchi oggi sembrano sempre più lontani dai giovani che crescono e vivono con il rap. Sono due sistemi che si scontrano e la frattura è solo un’inevitabile conseguenza. Esistono vari modi di fare rap e nessuno è migliore dell’altro. Ogni rapper ha qualcosa da raccontare. Può variare il linguaggio, non la sostanza.» (Chuck D., rapper)

Ascolta sette brani su radioscalo


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